Nello sport esiste un concetto multatasking che è il “contropiede”, concetto che poi è stato esteso per metafora a molte situazioni esistenziali. Può darsi che il procedimento di genesi della parola sia esattamente il contrario, ma non fa differenza.
Quello che mi ha sempre affascinato del calcio e nel tennis è mandare l’avversario da una parte e trafiggerlo dall’altra. A parte il punto segnato, questo lascia in bocca di chi lo fa il gusto dolce della beffa. L’ottundimento attonito per chi lo subisce con quel senso di paralisi interna, che se tu potessi, rimarresti in terra per sempre.
L’analogia con la morte improvvisa di una persona cara è molto forte anche se più articolata, perché prevede minimo tre giocatori : il morto che subisce il contropiede, che per qualche secondo percepisce, che la vita è esattamente nell’angolo opposto a dove lui si trova; il vivo che, come il morto, subisce il contropiede e rimane disorientato, dolorante e interdetto a lungo; la morte che ha fatto il contropiede.
Un contropiede spietato che colpisce a volte a caso, a volte sfruttando con abilità l’errore del morto. La morte che ti manda di là a caso, da 0 a 100 anni. Poteva succedere, lo sapevamo.
La morte segna il punto e se ne va.
Mi metto dalla parte di chi ha subìto il contropiede: il morto e i suoi cari. Avrebbero potuto evitare o limitare l’effetto del contropiede micidiale? Si, avrebbero potuto.
Entrati in campo sappiamo tutti le regole del gioco e che possiamo essere drammaticamente spiazzati. E’ una delle prime regole della vita, che impariamo per osmosi prima, con sempre più consapevolezza dopo. Quando un tuono, sveglia un bambino, nel cuore della notte, corre nel letto tra i genitori; quando i genitori lo lasciano da solo per la prima volta all’asilo e incontra il primo concetto di assenza. Si comincia così a capire, che esiste la possibilità di subire un contropiede improvviso e irreparabile.
Mi metto di nuovo dalla parte di chi ha subìto il contropiede: il morto e i suoi cari; mi ci metto anche io dalla parte di chi avrebbe potuto evitare o limitare l’effetto del contropiede micidiale. Si, avremmo potuto.
Il cervello ha due armi micidiali per ridurre il lutto ai minimi termini: la consapevolezza più precoce possibile che questo accada e il vivere bene al di là delle convenzioni.
Vivere come fa bene a noi stessi, in accordo con i nostri pregi e difetti, lavorando umilmente ogni giorno per non fare cose scontate, per non litigare inutilmente, per avere superficialmente lasciato andare un’opportunità, anche piccola di gioia.
Il tesoretto di vivere bene, che avremmo accumulato con attenzione nella vita lascerebbe il morto ricco di una vita piena, con poco margine di gioia dispersa.
I cari del morto, lo stesso, perché dopo il primo grave smarrimento, ogni volta che pensiamo al morto, pensiamo ad una persona che ha interpretato bene la vita e non può che nascere dentro di noi una variante di sorriso. Non possono nascere che racconti da rievocare, durante una cena, di quanto fosse stato abile a vivere bene e attento a non lasciare niente di non vissuto.
Altro anticipo per i cari del defunto, di evitare danni importanti dallo sgambetto è vivere bene loro stessi, approfittando del surf più efficace mai fabbricato: l’amore sincero, l’amore a perdere, l’amore dissoluto, l’amore senza condizioni. Chi amavi è morto lo stesso, ma eri lì dove è passata la palla e non dall’altra parte come un ebete, ingannato dalle finte della vita.
Il dolore della perdita va anticipato con una vita attenta al donarsi senza fare conti. Questo non ferma le tue lacrime, non ti impedisce di piegarti in due e di avere reazioni incontrollate, ma di nuovo, la consapevolezza di avere dato tutto in vita, trasforma l’assenza in un legame indissolubile. Chi ama a spada sguainata non viene travolto e non si ricorda il dolore solo il 2 di Novembre. Continua ad amare e continua ad essere amato da chi è andato.
Il contropiede ci ha mandato fuori fase, ma solo per un pò. Continuiamo ad essere connessi con chi non c’è più.
Il problema è che vivere bene non è semplicissimo, schiavi delle nostre dipendenze sofisticate e consumistiche, dell’aderire ad un’omologazione di valori che niente ha a che vedere con i propri valori specifici. Viviamo spesso dentro i valori degli altri, lasciando una parte di campo esistenziale completamente scoperta, facile accesso a chi è un esperto contropiedista come la morte.
In queste situazioni, senza la consapevolezza di essersi amati e di avere centellinato amore a chi non c’è più, si possono aprire voragini di dolore dai quali non si esce, piombati a terra da un dolore atroce, da sensi di colpa, dalla mera assenza.
Viviamo bene, nel semplice rispetto di regole note da sempre a tutti. Non subiamo un contropiede dopo un calcio di rigore sbagliato.