Sono passati tanti anni da quel maledetto 30 gennaio 2002 quando il piccolo Samuele Lorenzi di tre anni fu barbaramente ucciso nel letto dei suoi genitori. La dinamica dell’accaduto è nota all’intera Italia che ha seguito il caso e rovistato -anche in maniera morbosa- ogni aspetto dell’atroce caso. Per la giustizia italiana e per la grande maggioranza degli italiani, la carnefice è stata la madre Annamaria Franzoni, nonostante donna abbia sempre gridato la sua innocenza. Appoggiata dal marito, nonché dall’intera sua numerosa famiglia. Il caso ha diviso il Paese come pochi altri in colpevolisti e innocentisti. La giustizia l’ha condannata in Cassazione a 16 anni di carcere per l’omicidio di suo figlio. Un caso unico. Come particolare, anche se lecito, la nascita di un altro figlio, nato circa un anno dopo della tragedia. Oggi la Franzoni, dopo aver scontato sei anni e un mese di carcere a Bologna ha avuto la possibilità di finire la pena agli arresti domiciliari nella casa di famiglia a Ripoli Santa Cristina (frazione di San Benedetto Val di Sambro (BO). Le indagini di questo figlicidio sono durate sei anni. Annamaria ha preso 30 anni in primo grado, 16 in appello, poi ridotti a 13 con l’indulto. Il 21 maggio del 2008 c’è stata la conferma in Cassazione. Il delitto di Cogne sconvolse le coscienze di tutta Italia. Non sembrava possibile che una madre potesse compiere un gesto così crudele come l’uccisione del figlio e non ricordarlo. Ma ci ricorda lo psichiatra Stefano Michelini nel suo Cervello in Tilt, nella sezione “Figlicidi”, che in Italia considerando l’intero periodo2000-2014 sono stati 379 i figli uccisi da un genitore. Nel 61,5% dei casi l’omicidio è stato commesso dai padri a fronte del 38,5% delle madri. La mamma di Samuele non ha mai ceduto. Radicalmente ancorata alla sua realtà che qualcuno sia entrato nella villetta mentre lei si recava ad accompagnare il figlio maggiore Davide allo scuola bus. Facendo anche nome e cognome dei possibili assassini. E chiedendo a gran voce indagini approfondite. Indagini che hanno portato alla conclusione di accusare lei come unica assassina per la giustizia italiana. Intervistata da Libero, la Franzoni ha affermato: “Ogni volta che appare il mio nome in pubblico, fa discutere. Per questo ho scelto di non parlare più”. Dice inoltre di voler lasciare l’Italia appena avrà finito di scontare l’intera pena. La colonna portante di questa donna è stata la sua famiglia che le ha sempre creduto e non l’ha mai abbandonata, soprattutto il marito. Dopo tanto polverone, il caso è oggi chiuso. Per la legge italiana. Per l’opinione pubblica. Per i turisti che a Cogne vanno a fotografare la villetta dove trovò la morte il piccolo Samuele come fosse un souvenir. Ha senso parlarne ancora?